Difficile che oggi in Italia un disco originale e fuori dalle logiche di mercato non incappi in quel
trito (e ritrito) genere di stereotipi che vorrebbe la musica indipendente
destinata a un pubblico di nicchia o meglio a una qualche "setta" di
invasati. È un limite che occorre superare. Perché a volte entra in gioco un mix
di fattori che portano un ascolto “non immediato” a far presa sulle
orecchie di molti. A mio avviso è il caso di questi “buskers” nati artisticamente nel 2007
sulle strade di Dublino e di casa a Torino, che dopo cinque anni di lavoro in
studio (durante i quali hanno pubblicato gli ep Soluzione e Bruco),
centinaia di concerti e svariati cambi line-up, giungono all’esordio
sulla lunga distanza con Coltivare piante grasse. Un disco di
sorprendente maturità artistica e stilistica, contraddittorio fin dal titolo
(le piante grasse si coltivano?), in cui la ricerca di raffinati arrangiamenti
acustici di matrice free-jazz sfugge a inutili
leziosità. È così che tempi dispari e repentini cambi di tono diventano di
facile ascolto, magari appassionando anche il pubblico di neofiti. Impossibile
non accostarli a gruppi come i Marta sui tubi, ma i Med in Itali hanno
personalità da vendere e lo dimostrano consegnandoci un lavoro di grande
qualità, sublime dal punto di vista espressivo, impreziosito dalla partecipazione di due jazzisti
di rango come Matteo Negrin e Luca Begonia.