lunedì 22 aprile 2013

Intervista : Il Testamento di Andrea Appino

Nel suo libro “Complexity”, pubblicato nel 1992, il giornalista scientifico Mitchell Waldrop scrive che “L’orlo del caos è dove la vita ha trovato abbastanza stabilità per sostenersi e abbastanza creatività per meritare il nome di vita. L’orlo del caos è dove nuove idee e genotipi innovativi rosicchiano continuamente il bordo dello status quo, dove anche la più radicata vecchia guardia sarà, presto o tardi, rovesciata”. Il caos è dunque la scintilla che aizza la fiamma della creatività, l’energia che alimenta l’ingegno e cela in sé il germe del cambiamento. Insomma, per farla breve, ci sono buone ragioni per pensare che esista un ordine – o se preferite un equilibrio - anche nel disordine delle cose, ma trovarlo richiede tempo, fatica e soprattutto una buona dose di coraggio. Ma cosa c’entra – direte voi – tutto questo col nuovo disco di Andrea Appino? Bè c’entra eccome, perché se qualcuno nel tentativo di capirci qualcosa finisce in psicoanalisi – capendoci poi meno di prima - qualcun altro impara a convivere con i suoi mostri per liberarli attraverso l’arte. Niente a che vedere con l’esorcismo sia chiaro, piuttosto un difficile processo di disintossicazione dalle paranoie e dai “falsi miti” dei tempi in cui viviamo. Un po’ quello che ha fatto nel suo primo disco da solista Andrea Appino: un tipo regolarmente incasinato, ma soprattutto “incasinato bene” e con le idee ben chiare su come incasinarsi meglio. Una predisposizione innata la sua, che dal 1994 ha trovato terreno fertile per crescere ed esprimersi con il folk-punk-rock dissacrante degli Zen Circus e che emerge sotto una nuova lente anche nei 14 brani de “Il Testamento”, registrati con una big-band formata da Giulio Favero e Franz Valente de Il Teatro degli Orrori ed Enzo Moretto degli A Toys Orchestra. Il disco segna una svolta nel percorso artistico del cantautore pisano spostando lo sguardo dalla società alla storia della sua famiglia. Ce ne ha parlato in questa intervista tra rock, fumetti e religioni.
 
Dal live del 19 aprile all'Hiroshima di Torino (servizio fotografico a cura di Enrico Laguzzi)
 
Partiamo dalla title-track “Il Testamento”: una dedica “velata” a Mario Monicelli – che peraltro citi in “Solo gli stronzi muoiono” – per un manifesto di grande impatto sull’importanza di scegliere. Raccontaci la genesi del brano.
Monicelli con "Il Testamento" c'entra il giusto, il brano parla soprattutto dell'importanza della scelta, dell'importanza di scrivere la propria storia tutta d'un fiato senza delegare a nessuno conseguenze e meriti. Ho pensato a lui solo nel verso finale, quando la scelta può essere anche quella di morire. Certo Monicelli si è tirato dalla finestra d'ospedale ormai terminale e a novant'anni suonati, ma il senso è sempre quello: prendersi le responsabilità delle proprie azioni, nel bene e nel male per andarsene senza un solo rimpianto.
 È vero che la stesura dei testi ha richiesto molto tempo ed è stata una sorta di terapia liberatoria per te?
Decisamente, è stato come andare in analisi. Prendere pezzi della mia vita, della mia storia familiare e quella dei miei cari a servizio di un racconto sulla propria liberazione. Troppo spesso sento parlare di rivoluzioni quando mi rendo conto che le peggiori dittature sono dentro le nostre sovrastrutture mentali ed emotive. Poi con gli Zen ho scritto già due dischi che parlavano dell'Italia di oggi, "Andate tutti affanculo" e "Nati per subire", non volevo assolutamente fare la stessa cosa, odio farmi trovare dove gli altri se lo aspettano.
 
 
“La festa della liberazione” è secondo me il brano più vicino allo stile Zen Circus,  in cui emerge quella poetica ironica e beffarda che in qualche modo mi ricorda le tavole di Pazienza. Se dovessi associare la tua musica alla matita di un artista chi sarebbe?
 Ti sei già risposto da solo. Io e tutti i miei amici d'adolescenza sembravamo usciti dai fumetti di Pazienza, Zanardi e Penthotal su tutti. L'ho mangiato e fatto mio, come si dovrebbe sempre fare con i maestri (Pasolini insegna).
Nel complesso comunque le atmosfere sono più scure e il sound decisamente più rock rispetto ai lavori degli Zen Circus…
 Certo, ambienti diversi, sonorità diverse. Sarebbe stato veramente triste "simulare" gli Zen in questo disco, è la prima cosa che mi sono imposto di non fare quando ho deciso di farlo. Poi va anche detto che rischiavo di minare il prossimo lavoro degli  Zen se non avessi fatto "Il Testamento": avevo una gran voglia di fare questo viaggio interiore e avrei in qualche modo "obbligato" la band a seguirmi su strade che non interessava a tutti prendere. In questo senso sono sicuro che ci sarà libertà assoluta per il prossimo album degli Zen. Ho detto quello che volevo e sono pronto a mescolare di nuovo le carte.
 
 
La tua carriera è piena di collaborazioni e anche nel tuo disco solista figurano ospiti come Rodrigo d’Erasmo degli Afterhours e Marina Rei. Ci sono altri artisti con cui ti piacerebbe collaborare o condividere il palco in futuro?
Non ne ho uno in particolare, capita quando capita e sempre per motivi di amicizia e/o stima. Quindi diciamo che aspetto che gli eventi facciano il loro corso.
C’è un brano a cui mi sono subito affezionato: “1983”. Pensi che la generazione di trentenni di oggi sia come quella di 30 anni fa? 
Sarebbe molto presuntuoso e generalista parlare di similitudini fra intere generazioni. Posso solo analizzare la cosa per quello che è davvero tangibile: i miei genitori erano ragazzi negli anni di piombo, hanno vissuto sul serio la strategia della tensione, la democrazia cristiana al governo, l'avvento del Reaganesimo (e di conseguenza la preparazione al Berlusconismo) hanno visto il boom economico, la "fine" delle ideologie (gran cazzata dice sempre Ufo, visto che il capitalismo è un'ideologia anch'esso e tutt'altro che deceduta) e chi era un operaio più o meno impegnato politicamente si è visto sputare in faccia dalla maggior parte dei suoi compagni che avevano nel frattempo cominciato a comprare il tv color e il divano buono. Noi siamo diversi, siamo stati direttamente cresciuti dalle televisioni di Berlusconi che è sceso in campo quando avevo diciott'anni, il nostro '68 è stato a Genova 2001, nessuno di noi vuole fare l'operaio e chi lo vuole fare accetta di tutto perché non si lavora più. Il divano e il tv color sono diventati la tecnologia che nonostante la sua intrinseca ed effimera libertà ci sta allontanando gli uni dagli altri ne più e ne meno di come fece la televisione. Poi pensa alla droga, specchio della società spesso troppo sottovalutato: la cocaina (di qualità ignobile) è ovunque, è diventata la droga dei giovani e meno giovani, mentre per i nostri genitori era un vezzo  esclusivamente dei ricchi che veniva anche tollerato mentre  per la strada l'eroina la faceva da padrona, certo non è scomparsa ma è rimasta al palo, una droga per disperati o intellettuali. Insomma siamo diversi e molto simili, ma ci accomuna una regola infrangibile: scivoleremo via entrambi, saremo storia per un po’ e nel tempo verremo pian piano dimenticati. Per me l'oblio è motivo di euforia perché è la natura a vincere in definitiva e l'umanità è solo un granello di sabbia per lei. C'è chi crede in dio, io credo nella natura.
 
 
Progetti futuri?
 Il tour de "Il Testamento" sarà molto interessante anche perché non sono mai andato in tour senza Karim ed Ufo, qualche puntata qua e là ma niente di serio e continuativo. Insomma non vedo l'ora di suonare con Giulio, Franz ed Enzo dal vivo. E poi a maggio si comincia a provare il nuovo disco degli Zen, ho già scritto un po' di bella roba e sicuramente torneremo nel 2014.